Mostra Ore Quotidiane – Cattolica

Istituzione Culturale della Regina- Comune di Cattolica

Georgia Galanti Ore quotidiane

Galleria Comunale S.Croce
17 dicembre 2006 – 31 gennaio 2007
con il contributo di Carim Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini

Quanto sia intima e sussurrata l’espressione artistica di Georgia Galanti è dichiarato nel legame tra il suo lessico votato naturalmente ad una forma illustrativa e grafica e l’utilizzo di materiali di piccole dimensioni, fragili, fatti di carta, stoffa, collage materici e cromatici, inserti disegnati e apparentemente insignificanti. Certo in un tempo in cui le forme dell’arte sono dispiegate in gesti appariscenti e in espressioni spesso paradossali, provocatorie, dove il ricorso ai mezzi pittorici o plastici estremizza spettacolarità o minimalismo oppure parla con monumentalità (specie in scultura), o si affida a mezzi immateriali come il web, ci si deve attrezzare emotivamente per accostarsi all’arte tenera e leggera della Galanti. Che a volte radicalizza alcune tracce personali, perseguite sino all’esasperazione nei temi e nei motivi. Come in questo caso, dove l’artista si accosta alle iconografie della devozione, producendo qualcosa di estatico e diretto. Un sistema combinatorio che vive su elementi molto esili (riuso di immaginette unito ad una iper decorazione nella quale la Galanti esprime tutte le sue valenze manuali) ma che denota anche il suo spessore inconscio, “dove l’esecuzione rivela un’attitudine meditativa e interiore” per usare le parole che Germano Celant riservava a Richard Tuttle, altro artista manipolatore di ‘elementi da nulla’.
Georgia Galanti attribuisce alla sua collezione speciale di santini, piccole icone destinate alla devozione popolare, prese nei mercatini, nelle bancarelle, raccolte in anni di ricerche curiose e appassionate, una particolare ‘investitura’ di rinascita. Riusa immagini dove le iconografie del sacro approdano ad una rilettura singolare. E cioè innesta le sue riflessioni e i ricordi personali alle pratiche diffuse dell’universo femminile di decorare e ricamare. Non è un caso che alcuni settori delle cosiddette arti applicate (il tessile, la ceramica) rappresentino un ambito consolidato di esercizio artistico femminile. Ci ò è facile da spiegare: sono i materiali da sempre legati all’universo domestico, cui le donne potevano dedicarsi in modo autonomo. Pazienza, emotività e costanza diventano, da metodo, oggetto, come hanno raccontato alcuni protagonisti dell’arte povera negli anni ‘70. Ecco allora lustrini, nastri, paillettes, passamanerie colorate, ogni sorta di ornamento aggiuntivo fervidamente e fantasiosamente accostato, composto, cucito e ricamato per dare nuova luce ai santini.
A questa ridondanza esornativa corrisponde anche la quantità dei manufatti, tale da creare una sorta di calendario annuo attraverso inesauribili combinazioni decorative condotte al limite del ludico e dell’infantile.
Qui si interseca un secondo elemento, narrativo, col quale l’artista, attraverso un fraseggio ironico posto accanto alle immagini, dà spazio all’invocazione laica, al desiderio di soddisfare i bisogni (minimi o superflui) dell’odierno orizzonte quotidiano. In questo modo scardina il rassicurante equilibrio delle sue immagini decorate.
La Galanti sfrutta dunque una solida passione collezionistica per le immagini sacre ancora molto diffusa ed esaspera uno dei tratti dominanti della imagerie devozionale, la decorazione. Prendendo spunto specialmente da quella usata nei santini realizzati con stampa meccanica, spesso traforati, a rilievo, merlettati, ancora in auge nella prima metà del Novecento, destinati ad una devozione privata. Certo, alla funzione primaria di rinfocolare la pietà cristiana e contribuire alla conoscenza della vita dei santi, al ruolo edificante di preghiera si sovrappone da parte dell’artista una rilettura che accede alla sua personale esperienza umana.
Dove è possibile riconoscere il movente che nutre e sostanzia la sua mano. L’esperienza dell’infanzia, i conflitti, l’affinamento di una sensibilità volta a cogliere la magia delle visioni o dei desideri, la forza nascosta e serrata dietro le forme più umili; la capacità di trasformare il quotidiano, l’ovvio, le immagini che banalmente abitano le nostre esistenze in forze magiche, fatte per stupire. Annota la Galanti tra i suoi appunti, non casualmente, che forse ogni passo del suo lavoro “prende le mosse da un eccesso o da una mancanza, quasi che l’approccio, spesso ingenuo, con cui manipola le sue carte, derivi da questa dualità.

Annamaria Bernucci